Dopo sei stagioni si chiude un legame particolare, quello che ha legato la Fermana a Marco Comotto, classe 1983, per anni capitano e punto di riferimento della squadra in campo ma anche di un’intera piazza. La sfortuna e un fastidioso infortunio lo hanno tenuto lontano dal campo dallo scorso ottobre, ma un Capitano va salutato sempre con tutti gli onori.

 

Marco, sei anni intensi quelli vissuti con la Fermana. Che sensazioni hai in questo momento?

“Sono state stagioni belle e intense. Sono arrivato a Fermo al terzo anno di Serie D anche se potevo esserci già qualche mese prima: a gennaio ero stato ad un passo dal gialloblù, ero a Recanati, ma non si concretizzò il passaggio. I risultati ottenuti sono stati fantastici. Penso ai playoff il primo anno con la semifinale a Fano, il secondo anno il trionfo in D e una festa finale che ancora mi mette i brividi solo a ripensarci. Poi quattro salvezze in C, con tanto di risultati importanti e quella qualificazione ai playoff che resta nella mente di tutti. Dopo un’intera carriera nei dilettanti, disputare oltre i trent’anni quattro anni in C è stata una grande soddisfazione anche a livello personale”.

 

Chiudi gli occhi per un attimo: quali i ricordi più belli che ti scorrono davanti?

“Beh direi che è molto facile andare alla vittoria in Serie D: una cavalcata pazzesca, un gruppo incredibile, il pubblico che ci trascina e poi ripeto quella festa in Piazza è stata incredibile. Credo però che un momento in cui abbiamo raggiunto realmente l’apice sia stato con il successo di Pordenone che ci portò in vetta alla classifica. Eravamo entrambe li in altro e quella vittoria ci fece toccare il punto più in alto in assoluto: ricordo bene che ad inizio anno i pronostici ci davano come squadra destinata a retrocedere. Quella fu una battaglia in tutti i sensi e ne so qualcosa (naso rotto, ndr) sinceramente. Si tratta di un gran ricordo come il playoff con il Monza ad esempio, ma la gara di Pordenone è stata qualcosa di incredibile”.

 

Gli anni della C hanno regalato un gruppo stratosferico. Cosa aveva di speciale?

“Sapevamo che per fare risultato avremmo dovuto dare il 120% ogni volta. Fisicamente eravamo sempre sul pezzo e non mollavamo mai, in ogni momento. Per batterci gli avversari si dovevano superare. Non solo Pordenone ma abbiamo fatto risultati contro tante big: ricordo contro la Triestina ma anche Vicenza e molte altre ancora, come a Padova dove la squadra disputò un match impressionante”.


Si chiude un ciclo lunghissimo: cosa ti senti di dire alla Fermana?

“Non poso che ringraziare tutti perché mi hanno dato tantissimo. Con il patron Maurizio Vecchiola e con Fabio Massimo Conti sono stati addirittura otto anni insieme, considerando l’esperienza vincente di Montegranaro. Si è creato un legame familiare, ci sentiamo spesso anche al di la del calcio. Fabio Massimo Conti è un amico con cui ci confrontiamo anche al di là del calcio. Con Vecchiola il rapporto è speciale. Ricordo un episodio: in un match casalingo nel primo tempo presi un colpo alla milza e fui portato in ospedale, al Pronto Soccorso per accertamenti. Ricordo il patron che entrò in ospedale di corsa molto agitato e gridava perché voleva sapere le mie condizioni e se stavo bene. Un rapporto bello e intenso: quell’episodio lo ricordo benissimo”.

 


E con Fermo, che rapporto c’è?

“Mi hanno voluto bene i tifosi e il confronto c’è sempre stato chiaro e diretto. E penso che sia nato da un momento difficile come una sconfitta ad Agnone, io andai a parlare con loro da capitano a fine gara. Da li è nato un rapporto intenso e la stima tra le parti c’è sempre stata. Ricordo la gara Fermana – Teramo: sette giorni prima mi ero rotto il naso a Pordenone, in quella gara che raccontavo prima. Ero indisponibile e attraversai il campo prima della gara per raggiungere la tribuna: tutto lo stadio mi applaudì e quella sensazione a pelle fu incredibile, mi commossi. Questo mi fa capire che un buon lavoro è stato fatto nel corso degli anni”.

 

Si chiude con la Fermana, ma il calcio resta ancora nella tua vita. Non molli.

“Ci ho ragionato molto, dopo quanto mi è accaduto ad ottobre. Ho ancora voglia di giocare perché ho ancora fame. Dopo una media di 30 gare all’anno per una vita non volevo chiudere con un infortunio. A parte il problema all’anca avuto, ho visto che ho ancora forza e mi va di continuare. Sono realista e vorrei unire il calcio ad un percorso che pensa anche al domani perché gli anni sono tanti e dunque bisogna guardare al futuro. Ora una breve vacanza e poi deciderò con calma il da farsi”.

 

Un’ultima cosa: compatibilmente con gli impegni, sarai ancora in tribuna a tifare Fermana?

“Ovviamente, quando ci sarà modo sarò presente allo stadio perché non puoi non fare il tifo per qualcosa che consideri casa tua e che ti è entrata dentro, dopo tanti anni. Un grazie finale alla società come già detto, compresa quella squadra invisibile che non scende in campo ma è un ingranaggio fondamentale. Un saluto grande ai tifosi con i quali il rapporto è sempre stato diretto e ai quali dirò sempre grazie perché noi non siamo mai stati soli”.

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